Ripigliamoci! (la scuola)

Io mi auguro che con quello che ho sentito negli ultimi due giorni abbiamo raggiunto l’apice dell’ubriacatura da delirio organizzativo e che adesso possiamo ripigliarci, recuperare l’equilibrio e ricordarci che la scuola che riapre è soprattutto una questione di ritorno alla socialità per milioni di studenti, oltre che un problema logistico su come disporre milioni di pacchetti dotati di gambe e bocche.

Perché francamente, che le insegnanti non possano toccare i quaderni dei bambini non si può sentire.

Non si capisce perché nei nidi le educatrici possano lavorare con i bambini piangenti e moccolosi in braccio, ma a scuola debbano esserci due metri tra i banchi e la cattedra.

Esistono presìdi e procedure per lavorare a quel livello di sicurezza a cui tutti hanno diritto, salvo soggetti che hanno diritto a tutele maggiori per i quali possono essere previste procedure ad hoc.

Il fatto è che non si tratta solo di eccesso di zelo, il che sarebbe pure accettabile, ma di privazioni educative che invece no, non possono essere tollerate.

Ogni sacrosanta misura di prevenzione al contagio ha delle ricadute sui bambini e sui ragazzi e bisogna stare ben attenti a domandarsi quali siano queste ricadute, per poter intervenire di conseguenza.

Se un bambino all’asilo si sporca e la maestra, per non toccarlo, chiama a casa (giuro che ho sentito anche questa!), beh, si sta mandando un preciso messaggio a quel bambino e cioè che “se ti sporchi sei fuori” “che se sei in difficoltà io, adulto che mi sto occupando di te, non ti posso aiutare”.
E se piange e ha bisogno di consolazione? Faremo le carezze con la manina per grattarsi la schiena che avevano i nostri nonni?

Accettiamo tutto questo come se niente fosse? Davvero non ci sono alternative possibili?

Se in qualità di insegnante assegno dei lavori ma poi non posso toccare i quaderni, io sto dicendo a un mio studente che “Ti ho chiesto di fare un lavoro ma poi sono fatti tuoi, non mi occuperò di come è stato fatto, né se ti serve una mano”

Come è possibile che dallo stracciarci le vesti per i diritti violati dei bambini costretti alla didattica a distanza (che in quel momento era probabilmente l’unica via percorribile) siamo passati a dimenticarci così palesemente che il centro del discorso su come far ripartire la scuola sono loro, ora che di alternative a questi estremismi invece ce ne sarebbero tante?

Se in una riunione di inizio anno, si trascorrono i primi 40 minuti a parlare ai genitori di centimetri e di banchi, gli si sta dicendo che la priorità della scuola adesso è quella. E in effetti sembrerebbe proprio così.
Perché un conto è dare le giuste informazioni, altra cosa è parlare prima di tutto di quello, soprattutto di quello e quasi unicamente di quello, senza nominare gli effetti che avranno sugli studenti certe prassi, per quanto giuste, senza avere in mente delle strategie per affrontare questi effetti e senza fare nessun cenno a un piano di rientro per i bambini che si occupi delle loro emozioni e di ricucire gli strappi che i mesi passati hanno causato.

Negli ultimi anni non abbiamo fatto altro che dire che tra scuola e famiglia deve esserci collaborazione e oggi più che mai è necessario. Mi auguro a questo punto che i genitori si facciano portavoce dei bisogni dei loro figli che rischiano di essere ignorati in classe, visto che nelle scuole la supervisione educativa è ancora un miraggio e che dirigenti e insegnanti devono cavarsela da soli, con risultati a volte discutibili.

È ovvio che generalizzare non rappresenta mai la realtà e non so quanto queste derive siano diffuse; in effetti nell’applicazione delle linee guida c’è stata spesso molta disparità tra istituti.
Non so se certe estremizzazioni sono responsabilità delle/degli insegnanti, dei sindacati, delle/dei dirigenti o della tirannia degli/delle rspp, ma so per certo che almeno in una classe nel mondo esisteranno.
Ed è già troppo. Ripigliamoci! (la scuola)

* Simona Felice, pedagogista *

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