Telecamere negli asili. Sono davvero la soluzione?

Due giorni fa il sì della camera alla proposta di legge per introdurre le telecamere negli asili.

A distanza di quattro anni riproponiamo il nostro articolo sul perché questa non è la soluzione e rischia di minare il ruolo educativo dei genitori e della scuola.

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Da sempre ci sono argomenti verso i quali l’attenzione di un genitore è alta indipendentemente dagli eventi di cronaca di cui si parla. Uno di questi è il tema delle violenze sui bambini. A ondate ci sono periodi in cui si torna a leggere di arresti per reati di abusi nelle scuole e a seguito dell’ultimo di questi periodi si è diffusa in modo virale sui social network la petizione di una mamma che recita “sì alle telecamere negli asili” che ha riscosso grande diffusione e un coro di consensi.

Lo diciamo subito, la nostra sarà una voce fuori dal coro. Ci chiediamo come sia possibile arrivare a tanto e proviamo rabbia e dolore per quei bambini, per quelle famiglie e per le ferite che porteranno con loro tutta la vita. Qualsiasi tipo di vessazione sui minori è un fatto gravissimo e ingiustificabile in ogni caso, tuttavia riteniamo che le telecamere non siano la soluzione e che questa proposta abbia in sé delle criticità sulle quali vogliamo invitare a riflettere. Quando la posta in gioco è così alta è difficilissimo rimanere lucidi, se poi ci dicono che il tutto può essere aggravato dalla superficialità di trascurare segnali anche piccoli è presto spianata la strada per il panico. La salvaguardia dei minori è da perseguire a qualunque costo, quindi accendiamo i riflettori su luoghi in cui passano le loro giornate e leviamoci il pensiero. Tutti tranquilli.

In primis ravvisiamo un’ingenuità di tipo pratico in questa proposta: la violenza non è rappresentata solo dalle percosse e da gesti abominevoli di quel tipo, purtroppo sono molti i modi in cui si possono ferire e umiliare i bambini, mille gli angoli ciechi nello spazio e nel dialogo in cui si può agire al di fuori di ogni controllo possibile. Al di là di questo però riteniamo che il problema stia proprio in quel tutti tranquilli. Perché tranquillo un genitore non deve esserlo. Mai.

Sarebbe bello non dover fare i conti con i rischi, con l’inquietudine di sapere che può accadere qualcosa di brutto e sarebbe molto rassicurante non dover cercare le parole, i modi e i tempi giusti per spiegare ai nostri figli che il mondo che li circonda non è bello come vorremmo regalarglielo e risparmiarci il timore di minare la loro innocenza e l’apertura ottimistica verso gli altri che sempre invidiamo ai bimbi. Renderebbe le cose più semplici, ma non esiste al mondo nessuna rassicurante supplenza in grado di togliere quest’onere dalle nostre spalle. Ci tocca prepararli e prepararci al male e stare con i sensi all’erta per riuscire a captare quei famosi flebili segnali e poi ci tocca la fatica di interpretarli e di discernerli dall’aggressività e dalle inquietudini che normalmente ci sono e ci devono essere nel percorso di crescita di ogni individuo.

E’ una sfida sul filo del rasoio, un crinale tra l’accettabile e il preoccupante che si sposta in continuazione, in base alle situazioni, ai caratteri, ai cambiamenti. Per questo motivo, o ci alleniamo a conoscere i nostri figli, a guardarli nel tentativo di coglierne i malesseri reali che stanno al di là delle nostre proiezioni oppure cerchiamo una scorciatoia e ci adagiamo su ciò che è tangibile, come se l’universo interiore dei bambini si esaurisse nello scorrere di un video.

Si può rimanere vigili pur privandosi di questa tensione? Forse no. Perché oggi stanno con noi e con pochi altri, ma più crescono più si allontanano dal nido e non possiamo pensare di riempire di telecamere le palestre, le case dei loro amici, le aule di scuola, le panchine nelle piazze. Certamente più diventano grandi più dovrebbero imparare a parlare con noi e a distinguere la fatica di crescere dai malesseri verso i quali ribellarsi. Dovrebbero, se noi glielo abbiamo insegnato mentre li scrutavamo attraverso un monitor. Qual è il momento preciso in cui possiamo cominciare a fidarci di loro e di chi se ne occupa? Quando non potremo più vederli coi nostri occhi assolderemo degli investigatori a controllarli o lasceremo che vadano sperando nella buona sorte? A che età? A quali condizioni?

Certo in caso di bambini piccolissimi le cose sono più complicate e la gravità di certe azioni non consente di aspettare che gli avvenimenti ci aiutino a chiarirci le idee. Eppure anche quando la comunicazione con loro non è così diretta come quando iniziano a parlare non c’è grande fratello che si possa sostituire a noi e che possa garantire che dietro immagini apparentemente tranquille non esista pericolo per il loro benessere. La violenza infatti può essere anche verbale o compiuta attraverso piccoli impercettibili gesti.

Esiste un’altra via praticabile? Noi auspichiamo che di fronte a questi pericoli emerga nei padri e nelle madri il desiderio di riappropriarsi del loro specifico ruolo di supervisione e di condurlo occupando tutti gli spazi possibili che li vedano coinvolti in prima persona: partecipando alle vite dei bambini, alle riunioni a scuola, ai momenti comunitari del quartiere, parlando con le insegnanti e confrontandosi con loro, conoscendo i loro amici e i loro genitori, ascoltando i loro discorsi e i mille messaggi che veicolano mentre noi spesso siamo distratti da altro.

Perché quando siamo presenti fisicamente e pronti mentalmente possiamo provare a guardare il mondo con i loro occhi e quando non saremo presenti avremo lo sguardo allenato a vederlo specchiato nelle loro espressioni e nei loro racconti e troveremo le loro esperienze, non in immagini video che possiamo interpretare unicamente con i nostri schemi di valutazione e i nostri metri di giudizio che sono utili e inevitabili almeno quanto insufficienti e talvolta anche pericolosi perché rischiano di vedere quello che in realtà non c’è.

Al tempo stesso sappiamo che quello educativo è un lavoro delicato e importante ed è necessario che il personale di questi servizi venga controllato al fine di prevenire situazioni di abuso, ma riteniamo sia più efficace e giusto sostituire l’occhio delle telecamere con l’obbligo che nelle strutture il personale sia costantemente formato e supervisionato, supportato e monitorato.

Probabilmente i costi sarebbero inferiori e i risultati migliori.

*Simona*

(repost di Baby and the city del 28/05/2014, La casa sull’albero per Crema on line)

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