Una scuola che semplifica non è una scuola facile

Questa immagine si inserisce a pieno diritto in uno dei dibattiti più urticanti sulla scuola attualmente in corso e cioè su quanto questa stia rinunciando al suo ruolo di trasmissione del sapere… che poi è il suo ruolo costitutivo, quindi la questione mette in discussione la scuola alla sua base.

Però… non facciamoci ingannare.

Quello che c’è in gioco oggi nel delicato passaggio che la scuola sta attraversando non è il dibattito tra i nostalgici di un tempo passato in cui lo studio doveva essere pianto e stridore di denti e la qualità dell’apprendimento era direttamente proporzionale alla quantità di sudore versato e quelli che considerano la fatica una violazione dei diritti umani e chiedono giustamente una scuola più a misura di bambino aspettandosi però che questo significhi non sottoporli mai alla frustrazione.

L’inganno sta nel credere di dover scegliere tra queste due posizioni ma anche nel pensare che la soluzione sia cercare un giusto compromesso.

In realtà bisogna uscire da questa finta diatriba se vogliamo rendere la scuola un posto più adeguato a chi la attraversa senza però rinunciare a trasmettere un sapere di qualità.

Il nodo cruciale quindi sta nel capirsi quando parliamo di SEMPLIFICAZIONE.

Semplificare non vuol dire abbassare gli obiettivi, ridurre ai minimi termini tralasciando tutti gli approfondimenti. Semplificare significa facilitare, favorire, agevolare.

Semplificare vuol dire rendere più accessibile il sapere e questo proprio nell’ottica di portare gli studenti al maggior livello di approfondimento possibile.

La fatica ha in sé un valore educativo?

Certamente. Ma solo se è una fatica che ha un senso, non fine a se stessa in nome di una supposta gratificazione futura che non ha nessun contatto con la realtà presente.

E soprattutto solo se è una fatica sostenibile.

Studiare per gli studenti deve essere certamente un’impresa che li chiama in causa attivandoli, ma non l’impresa epica di una sfida livello dieci in cui vince solo chi arriva in fondo per selezione naturale.

Proprio laddove ci sono le difficoltà bisogna soffermarsi per cercare le risposte e le soluzioni. Ad ognuno va chiesto di provare a superare le proprie difficoltà ma questo è possibile solo se si completa un livello alla volta e per completare un livello alla volta c’è bisogno di renderli sostenibili. Non facili, sostenibili.

Una scuola buona dunque non è una scuola difficile che porta a traguardo chi è partito con le risorse giuste.

Una scuola buona è una scuola che non si blocca di fronte alle difficoltà ma le rende più semplici per chi vorrebbe sfuggirle, trasformando una potenziale fuga in una conquista.

Questo può consentire a tutti di arrivare più in là possibile, ad un livello ulteriore di apprendimento raggiungibile solo se si è capito il pezzettino precedente.

Per dirla ancora più semplicemente. La scuola non deve essere difficile ma capace di semplificare e non deve essere facile ma capace di dare gli strumenti per superare le difficoltà.

Deve essere una palestra in cui la fatica acquisisca il senso dell’allenamento e non dei gironi di qualificazione.

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