Lettera a mio figlio sulla paura

Foto paura blog

Quella che vedete in foto è la paura di mio figlio.

Anzi mi correggo, quello che vedete in foto è ciò che la paura sta insegnando a mio figlio: a difendersi.

Sono tredici oggetti che gradualmente hanno conquistato un posto nel suo letto e nel suo cuore.

Tutto è iniziato con la necessità di proteggere Orso dai mostri.

Orso dorme con mio figlio da sempre ed evidentemente bastavano l’uno all’altro, fino a che una pandemia non ha stravolto il mondo. Dopo qualche settimana di lockdown le notti hanno cominciato a proiettare sul suo sonno le ombre spaventose dei mostri.

Ma come, figlio mio, proprio ora che siamo chiusi in casa, senza vedere nessuno, che più al sicuro di così non si può, cominci a preoccuparti di quello che può succederti quando abbassi le palpebre e la guardia?

Beh, come darti torto in effetti.

All’inizio mi ha intenerito quell’impellenza di proteggere Orso con le tue felpe e la cura con cui lo incappucciavi prima di sistemarlo sul cuscino.

Poi, lo ammetto, ha iniziato a infastidirmi quel moto incessante di rituali con cui ti osservavo diventare quasi compulsivo. Preoccupata per una cosa che forse ti stava sfuggendo di mano e innervosita dal tempo infinito che impiegavi per smetterla di trafficare e addormentarti, mentre io desideravo solo solitudine e silenzio, almeno a fine giornata.

Mentre speravo che questa tua fase finisse al più presto la cosa si è fatta invece più articolata e tu e Orso, in barba ai miei tentativi di ridimensionamento, avete cominciato ad armarvi.

Ognuno di quegli oggetti recuperati per casa ha uno scopo ben preciso ma io per un certo periodo sono stata incapace di dire a me stessa che la tua paura mi inquietava e me la prendevo con le cianfrusaglie con cui disordinavi e sporcavi il letto.

Ho capito tutto la sera in cui ho perso la pazienza e ti ho portato via il guanto in lattice con cui stavi facendo un palloncino invece di provare a rilassarti nel modo che io pensavo fosse quello giusto.

La tenacia con cui hai resistito ai miei tentativi di boicottaggio mi ha fatto capire che era proprio quel caos che mal sopportavo il tuo tentativo di rilassarti.

“Stasera ti restituisco il guanto – ti ho detto il giorno dopo – però se mi spieghi a cosa ti serve decidiamo un orario entro cui ti devi organizzare”

Un banale compromesso insomma, ma che fatica!

Mentre quella sera mi illustravi le funzioni di ogni pezzo del tuo arsenale con l’orgoglio negli occhi, mi ha colpito una cosa: per armarti avevi dovuto conoscere a fondo il tuo nemico, scoprire che i tuoi mostri temono il rosso e il nero, che si disintegrano se toccano il bianco e che il modo migliore per catturarli è legarli con un metro da sarta che è un po’ elastico e non si spezza se tentano di scappare.

In quel momento ho scorto solo una parte di quello che tu avevi imparato affrontando la tua paura, però ho capito molto di quello che mi stavi insegnando rispetto alla mia, rispetto alla mia paura di non riuscire a proteggerti dall’ignoto che ci aspetta lì fuori e dalle emozioni che susciterà in te.

Mi hai insegnato che fallirei sicuramente insistendo nel propinarti le mie risposte e rimettendo nei cassetti di casa le tue. Mi hai insegnato che posso tollerare che tu appoggi  sulle lenzuola bianche quei ferri pescati chissà dove, se si tratta di lasciarti i tuoi superpoteri.

E poi, sopra ogni cosa, mi hai insegnato che il tempo e la materia che servono a voi bambini per organizzare uno spazio nuovo in cui affrontare la paura, saranno la cosa più preziosa da garantire e custodire quando noi adulti vi chiederemo di tenere le distanze e vi creeremo il vuoto intorno.

Scusami se ci ho messo un po’ a capirlo ma del resto non potremo fare che questo d’ora in poi: esplorare insieme un mondo nuovo in cui io non sarò più così sicura di saperne molto di più.
Ma forse questa è una fortuna visto quello che sai insegnare tu a me.

* Simona *

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