Diciassette giugno (the prequel)

Delle tre io sono notoriamente quella distratta e smemorata, ma questa è una data che non dimentico mai

Diciassette giugno duemilatredici.

 

 

La strada che ci ha portato al tavolino di quel bar è stata una specie di viaggio nel paese delle meraviglie, dove il tempo si è accartocciato e dilatato in base ai mille eventi che si sono susseguiti.

Il primo è stato in un tardo pomeriggio d’inverno, undici anni fa. Ero nell’ingresso dell’asilo che frequentava mia figlia, stremata da un lunghissimo turno in comunità appena finito, cercavo di convincere Maja a vestirsi per portarla a casa. Sara lavorava in quel nido, aveva finito anche lei il suo turno e passando per uscire mi ha visto lì, ostaggio di una nanetta recalcitrante che ha interrotto i capricci attratta dal pom pom del suo berretto, lei si è fermata a chiacchierare con Maja, io ho pensato che ci sapeva fare e in quel momento ho cominciato a volerle bene, anche se ancora non lo sapevo.

Poi gli anni sono scivolati velocissimi, c’è stato il mio contratto in quello stesso asilo che ci ha dato uno spazio prezioso in cui crescere professionalmente e diventare amiche tra pannolini da cambiare, progetti da scrivere e pause pranzo trascorse a pianificare ogni aspetto delle nostre reciproche vite. C’è stato il suo matrimonio ed io testimone, poi mio figlio e lei sua educatrice, poi suo figlio e io che corro a conoscerlo in ospedale, le vacanze insieme e le gioie e fatiche della vita di tutti che se le condividi con un’amica diventano pietre miliari a cui ancorare i ricordi più importanti.

Nel frattempo le cose a lavoro sono diventate mano a mano più complicate e mentre aumentava l’insoddisfazione cresceva in parallelo la sintonia che sentivamo su ciò che non doveva essere e su come invece avremmo voluto che fosse. Così, Resistendo insieme, abbiamo costruito giorno per giorno un’idea di educazione condivisa, quella che ci vestiva come un abito comodo, che ci ricordava i motivi per cui avevamo scelto quel lavoro, quella che ci riportava al senso più giusto e profondo dello stare con i bambini.

Poi si sa, i cuori giovani fanno in fretta a credere che i sogni possano diventare realtà e quindi, come in un gioco abbiamo cominciato a pensare che potevamo aprire un servizio tutto nostro. Del resto, perché no?

Eravamo in tre, tutte completamente prive di qualsiasi nozione base di tipo amministrativo, burocratico, economico e così studiavamo la sera e bisbigliavamo di giorno perché solo se hai un complice puoi continuare a credere che qualcosa si può fare anche contro ogni apparenza.

Nel pieno di questo stato di eccitazione sussurrata è arrivata Isa, una mattina in asilo. Il turn over tra le educatrici era altissimo ormai, vedevamo ragazze arrivare, raggiungere in fretta il limite di sopportazione e andare via ad una velocità sempre maggiore.

Lei era l’ennesima, ma non una delle tante. Ho capito che era diversa al primo ciao. Uscivo dal bagno mentre la direttrice le faceva fare il giro introduttivo e mi sono avvicinata per presentarmi. Lei mi ha sorriso ed era così raro ormai vedere un sorriso lì dentro che ho pensato “questa è come me”

E infatti anche lei coltivava un sogno simile al nostro e infatti anche lei ha iniziato subito a volere bene a Sara. Io invece la conoscevo poco perché ci dividevano un paio di porte e orari diversi ma sapevo che anche lei stava cercando complici per continuare a crederci proprio mentre la nostra terza sognatrice rinunciava al progetto con me e Sara.

Un giorno c’è stata una riunione in asilo, una delle solite programmazioni. Sono uscita da quella riunione avvilita, non ricordo nemmeno più cosa avessi chiesto e mi fosse stato negato ma non dimenticherò mai che nel bel mezzo di quella frustrazione Isa, che mi conosceva a malapena, ha preso le mie difese e si è offerta di fare non so più nemmeno cosa al posto mio, così, solo per poter dare una mano ad una persona in difficoltà. E insieme a lei Sara. Ricordo che mi concentravo per trattenere le lacrime per quel gesto di solidarietà inaspettato e gratuito.

Eravamo già una squadra, dovevamo solo scoprirlo.

Quella sera dopo che si sono addormentati i miei figli, nel silenzio ho finalmente potuto decifrare quel mix di esasperazione e gratitudine che mi ha fatto prendere il telefono e creare quel benedetto gruppo Whatsapp. Dovevo inserire il titolo della chat e ho scritto semplicemente “Grazie”.

Da quel momento in poi è stato inevitabile riconoscersi, diventare amiche, scegliersi come sorelle e poi diventare indispensabili l’una per le altre e seguire il flusso. Quella chat è diventata la nostra sala riunioni. Mano a mano che osavamo condividere idee, conoscenze e progetti la strada si apriva.
Mettevamo a letto i bambini e a turno due di noi uscivano di casa sgattaiolando dentro una delle nostre riunioni casalinghe notturne. Dormivamo un paio d’ore e ricominciavamo le nostre giornate tra lavoro, figli, mariti e grandi sogni.

E’ finita che credendoci tantissimo senza quasi crederci siamo arrivate al 17 giugno 2013, al tavolino del bar in piazza duomo a festeggiare, dopo essere uscite dallo studio del notaio.
La casa sull’albero era nata.

PS: grazie vita per avermi regalato quelle due donne lì!

* Simona *

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